La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 marzo 2019, n. 8230, ha risolto il contrasto esistente in giurisprudenza sulla natura della nullità dei contratti aventi a oggetto immobili privi degli estremi del titolo abilitativo, tra la teoria della “nullità formale” e quella della “nullità sostanziale”.

Secondo la prima, la carenza di indicazione nell’atto da parte dell’alienante dei titoli abilitativi costituisce sempre e comunque un’ipotesi di nullità assoluta, riconducibile all’art. 1418 u.c., c.c. quale ipotesi di nullità formale e non virtuale (Cass. n. 8685/2009; Cass. n. 8147/2000); secondo la “teoria sostanziale”, invece, “il contratto avente ad oggetto un bene irregolare dal punto di vista edilizio è affetto da nullità sostanziale”, privilegiando la ratio dell’art. 40 della l. 47/1985, che è quella di ostacolare la commerciabilità di immobili irregolari (Cass. n. 23591/2013; Cass. n. 28194/2013; Cass. n. 25811/2014; Cass. n. 18261/2015).

Le Sezioni Unite, pertanto, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

la nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità testuale, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell’immobile”.

In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.