La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 7756 del 27 marzo 2017 , in riferimento all’applicabilità dell’art. 1669 c.c., ha stabilito il seguente principio di diritto: ” l’art. 1669 c.c. è applicabile,  ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo”.

Con tale pronuncia la Suprema Corte ha risolto il contrasto dottrinale e giurisprudenziale relativo all’ambito oggettivo coperto dall’art. 1669 c.c., che ha visto contrapposti due diversi orientamenti: uno per il quale la norma in commento delimiterebbe il proprio perimetro di operatività alla costruzione di edifici o di porzioni autonome di edifici, così escludendo, senza operare alcuna ulteriore distinzione, i lavori di modificazione o di riparazione di strutture preesistenti (Cass. n. 24143/2007; Cass. n. 10658/2015); l’altro, cui la sentenza in oggetto aderisce, che, invece, adottando un’interpretazione estensiva del disposto normativo, sostiene che debba rispondere ai sensi dell’art. 1669 c.c. anche l’autore di opere su un preesistente edificio, allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell’immobile o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità globale (Cass. n. 22553/2015).

Le Sezioni Unite, inoltre, hanno evidenziato come il baricentro dell’art. 1669 c.c., alla luce della più ampia e recente ricostruzione della categoria dei “gravi difetti”, nella quale rientrano anche quei vizi che riguardano “elementi secondari ed accessori purché tali da compromettere la funzionalità globale dell’immobile”, si sia spostato dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene, e quindi da un’ottica pubblicistica ed aquiliana ad una privatistica e contrattuale.